Lo sviluppo di nuove competenze nella prospettiva della mindfulness

Personale e Lavoro n° 516 aprile 2010

Quando si parla di scenario si fa riferimento all'insieme multiforme e sfaccettato di elementi che caratterizzano uno specifico contesto. Numerosi possono essere gli scenari, come numerosi sono i ‘sistemi’ che compongono una specifica realtà: si può per esempio far riferimento a scenari sociali, economici, organizzativi, relazionali, per non addentrarsi in quelli individuali, psicologici, umani e così via.

Gli scenari all'interno dei quali ogni individuo si muove sono numerosi, quasi sempre in relazione tra di loro e spesso integrati, andando così a definire una fi tta rete di interconnessioni. Attualmente più che nel passato gli scenari sono sempre più complessi, complicati da interconnessioni rispetto alle quali mancano regole definite e procedure di riferimento, linguaggi condivisi ed esperienze consolidate. Gli scenari, all'interno dei quali si muovono le imprese, sono sempre più caratterizzati da
instabilità, turbolenza e continuo e rapido cambiamento, a causa delle condizioni poste dal mercato globale, di una serrata competizione economica e di una clientela sempre più difficile da soddisfare.

La necessità di acquisire una nuova dimensione di competenza

Le capacità e le competenze che nel passato sono state efficaci per affrontare con successo i diversi scenari e, quindi, le diverse situazioni sociali, organizzative, interpersonali e così via, non sono più sufficienti: non si tratta soltanto di trovare risposte nuove, innovative e creative per risolvere i numerosi problemi che si presentano, siano essi tecnici, economici, sociali, relazionali, ma è necessario sviluppare una comprensione più profonda delle situazioni e poter ampliare la prospettiva, la percezione e la visione.

La ragione di ciò sta nel fatto che, di fronte alle situazioni problematiche o nuove, al fine di poter decidere con efficacia, non è più possibile attingere soltanto ad esperienze e utilizzare competenze acquisite, bisogna attuare un cambiamento di prospettiva che sia strutturale, al fine di potersi aprire a nuove possibilità e lasciar scorrere nuove energie. L’esempio che, a proposito del ‘cambiamento’, fa lo psicologo Watzlawich, alto esponente della scuola di pensiero sistemico, è quello del guidatore che, se vuole aumentare la velocità della sua auto, è anche indispensabile che cambi marcia: deve necessariamente passare dalla marcia inferiore a quella superiore. Se, invece, continua soltanto a premere sull’acceleratore, sballa il motore e non ottiene il risultato voluto. Così come, per aumentare la velocità bisogna effettuare un cambiamento strutturale (passare dal solo schiacciare il piede sull’acceleratore al cambiare marcia), solo se si riesce ad entrare nella profondità del proprio pensiero e si riesce a comprendere i nuclei e le relazioni tra i fatti e le situazioni da cui sono scaturiti i problemi, può emergere una nuova visione, nuove conoscenze e nuove soluzioni.

Quali sono, quindi, le strade da percorrere per poter sviluppare questa nuova dimensione di competenza e favorire un ampliamento e un cambiamento di prospettiva e l’emergere di nuove visioni?

L’approccio della mindfulness

L’approccio della mindfulness è una via maestra per poter accedere a un pensiero nuovo più ampio, spazioso e profondo che crea le condizioni per una nuova conoscenza. Questo approccio, consolidato da antiche tradizioni, si fonda sulla presenza mentale consapevole ed è caratterizzato da un approccio non giudicante e benevolo verso se stessi e verso gli altri.

La mindfulness, che trae origine dalla vipassana, antica tradizione meditativa buddista, si fonda sullo sviluppo della presenza mentale consapevole rispetto a se stessi, ai propri pensieri, stati d’animo, emozioni, sentimenti, paure, rabbia e così via, e sul lasciar andare tutto ciò che si presenta alle porte dei sensi, senza innescare spirali di pensieri (la cosiddetta ruminazione o proliferazione mentale) e di emozioni.

Imparare la presenza mentale consapevole significa potersi accorgere per tempo delle re-azioni, non solo mentali o emozionali ma anche psico-fisiche, interrompere la spirale che si innesca e il suo possibile sviluppo e lasciar andare tutto ciò, con benevolenza e generosità, concedendo a se stessi quella spaziosità e libertà da cui può sorgere un pensiero e una conoscenza nuovi, una intuizione, un insight e uno stato di maggior benessere.

L’importanza dell’allenamento

Per poter sviluppare la presenza mentale consapevole sono necessari la pratica e l’allenamento non ripetitivi ma, appunto, consapevoli. Significa cioè sviluppare attitudini mentali diverse da quelle abituali: si tratta della capacità di essere presenti alla nostra esperienza momento per momento e osservare nel ‘qui ed ora’ le nostre sensazioni-emozioni da un ‘luogo’ che non coincide con quello delle sensazioni-emozioni, senza entrare quindi nei contenuti di tali pensieri ed emozioni. Ad esempio, di fronte ad una situazione problematica, il praticante esperto può cogliere velocemente l’innescarsi di re-azioni mentali, fisiche, emozionali, può notarle e lasciarle andare affi nché l’energia possa scorrere liberamente e non essere intrappolata negli schemi abituali.

La pratica della mindfulness è difficile, e ‘basta provare per capire quanto la nostra mente sia costantemente condizionata e spesso distorta da un incessante, inconsapevole, automatico flusso di pensieri, di ricordi, di re-azioni emotive, di aspettative, di pianificazioni, per capire quanto sia facile ritrovarsi assenti, non presenti a se stessi, immersi in uno strato denso che ci sposta dal nostro presente, l’unico spazio dove realmente siamo’ (introduzione di Fabio Giommi, al libro ‘Mindfulness - al di là del pensiero, attraverso il pensiero’ di Segal Sindel V., Williams J. Mark, Teasdale John D., ed. Bollati Boringhieri).

Si potrebbe, a questo proposito obiettare che, quando si è di fronte ad una situazione problematica, ‘bisogna risolverla!’, ‘bisogna pensare al come fare!’, e che ‘il pensiero razionale è indispensabile’. Certamente! Questa possibile obiezione è in parte vera. Il problema, tuttavia, sta nel fatto che il pensiero razionale spesso si fonda su presupposti ed esperienze rigidamente consolidati e su schemi mentali di cui non si è consapevoli. È pertanto, difficile distinguere quando un pensiero è produttivo e generativo e quando invece è l’espressione di una proliferazione mentale inutile e dannosa.

A tutto questo si aggiunge l’abitudine a voler risolvere subito i problemi, a non tollerare il disagio che lo ‘stare con il problema’ comporta e, in nome di un perbenismo efficientistico, dover trovare subito soluzioni, che spesso risultano inefficaci.

A volte nel cercare di risolvere i problemi è presente una compulsività, un affanno, con la relativa ripetizione di schemi rigidi e meccanismi mentali che, spesso, sono stati una delle cause, se non la causa principale, del problema stesso. Inoltre gli stati d’animo e le emozioni, anche quando positive, sono elementi che è fondamentale saper cogliere, e non è né utile né efficiente lasciare che essi possano essere alla base delle decisioni prese.

La prospettiva della mindfulness apre ad una visione diversa e porta l’individuo ad una profondità, ad una essenza di pensiero dove la mente e il cuore si fondono e dove può sorgere un insight autentico. Se prima si pensava e si era connessi con il problema, adesso si è connessi con la nostra relazione con il problema, cioè il modo con cui ci poniamo rispetto al problema stesso. Ad esempio: voglio risolverlo a tutti i costi? voglio risolverlo in fretta? sono depresso? sono arrabbiato? e così via.

Questa capacità comporta una maggior spaziosità tra il soggetto e il problema, a cui consegue la capacità di comprendere il significato che esso ha per il soggetto stesso. Questa attenzione, vigile a non farsi sovrastare dal problema, apre alla possibilità di cogliere elementi nuovi, di lasciar fluire la situazione e di non cadere nella ‘trappola’, che la relazione con il problema determina e di potersi aprire ad altre possibilità, ad altre visioni, e anche alla eventuale consapevolezza dell’impossibilità di risolvere il problema.

Il poter cogliere la propria rabbia, il proprio senso di impotenza, la propria urgenza nel cercare di risolvere il problema senza cadere nella rabbia, nel senso di impotenza e nell’urgenza, determina un profondo e radicale cambiamento, un’evoluzione determinante e virtuosa.

Lo sviluppo della mindfulness, cioè della presenza mentale consapevole, è possibile solo se si comprende profondamente e umilmente la validità e la profondità di tale prospettiva e si è disposti ad allenare la capacità di stare in maniera non giudicante con tutto ciò che fa parte della nostra esperienza personale, relazionale ed emozionale.

Tale metodologia appartiene e trae nutrimento dalla sfera dell’essere, che fonda le proprie radici in un contatto diretto e profondo con se stessi, e nella capacità di stare con tutto ciò che sorge alle porte dei sensi: pensieri, emozioni, stati d’animo, in maniera non giudicante e senza cadere nella tentazione di dover trovare subito soluzioni o innescare re-azioni mentali e fisiche.

La nostra cultura e la nostra formazione, invece, sono principalmente fondati sul fare, sull’agire, spesso in maniera alienata da sé. Imparare la presenza mentale consapevole, significa potersi accorgere delle nostre re-azioni (pensieri, stati d’animo, emozioni, ecc.) senza cedere alla tentazione che esse offrono. Poiché le nostre re-azioni personali ci sono familiari, anche quando sono negative e dolorose hanno il ‘vantaggio’ di essere conosciute, e paradossalmente ciò è più rassicurante che il dover introdurre un cambiamento strutturale e radicale in noi stessi.

La mindfulness e la riduzione dello stress

Stress è una parola a cui ciascuno conferisce un significato diverso, a seconda della propria esperienza. Si tratta di una condizione con evidenze biochimiche, psico-emotive e comportamentali.

Lo stress, inoltre, è strettamente connesso con la capacità di far fronte alle situazioni considerate stressanti: ciò che per una persona è fonte di stress, per un’altra può non esserlo o, comunque, gli agenti stressanti (stressors) possono avere un impatto diverso sul proprio stato di benessere e sull’equilibrio psichico e fisico.

Certamente la società in cui viviamo, insieme con l’ambiente organizzativo in cui la maggior parte delle persone svolge la propria attività lavorativa, crea condizioni e sollecitazioni difficili e faticose da gestire. Una delle principali capacità, per vivere con pienezza e per lavorare con efficacia, è sicuramente quella di saper interpretare la realtà con lucidità e realismo e rispondere alle situazioni, anche le più stressanti, senza innescare meccanismi mentali, emozionali e psicofisici dannosi e inefficaci o, almeno, senza dar seguito alle conseguenti re-azioni mentali, emozionali e psico-fi siche.

Attualmente le aziende, per poter far fronte alle difficoltà di mercato, alle necessità di innovazione e ad una costante ricerca di miglioramento di prodotti e servizi, necessitano di persone capaci di gestire con efficacia le inevitabili situazioni di stress e di sapersi porre in relazione con gli altri al meglio delle proprie capacità psico-fisiche, oltrechè saper mantenere lucidità e visione per poter affrontare e risolvere le situazioni problematiche: ‘lasciar andare con benevolenza’, per poter lasciar emergere le migliori qualità della mente.

Vale la pena ricordare, a questo proposito, che in Oriente si usa la stessa parola per indicare sia la mente sia il cuore, stando a significare che non è possibile aprire la mente se il cuore
è chiuso e indurito. L’ostilità, la rabbia, la competizione, l’invidia e altro ancora, sono emozioni distruttive che bloccano le energie psichiche e non consentono l’armonico fluire del pensiero.

Il ben-essere organizzativo, inteso come raggiungimento dei risultati e degli obiettivi aziendali, in un clima percepito dal personale come soddisfacente e armonico, diventa quindi possibile a condizione che anche gli individui possano sviluppare e mantenere uno stato di ben-essere personale. Un ben-essere strettamente connesso con la capacità di ciascuno di ‘essere’ nella sua prospettiva più ampia e profonda, grazie alla quale possa scaturire un ‘fare’ più maturo e quindi potenzialmente più efficace.

Si vuole ancora sottolineare che una metodologia finalizzata alla riduzione dello stress non può prescindere dallo sviluppo della presenza mentale consapevole, poiché i diversi scenari, in funzione della complessità, della turbolenza e del cambiamento continuo, richiedono agli individui e alle organizzazioni grande equilibrio e stabilità. La capacità di far fronte alle complesse richieste che provengono dal mondo del lavoro e dalle richieste dei diversi ruoli svolti, e di preservare uno stato di benessere e di felicità personali, è sicuramente una capacità fondamentale e fondante. Le organizzazioni stesse traggono valore dal benessere degli individui, laddove la qualità delle relazioni, la qualità delle idee, l’energia e l’impegno possono realizzarsi e mantenersi nel tempo, soltanto in condizioni di benessere personale. Lo star bene degli individui diventa quindi una condizione di sviluppo organizzativo.


Verso un’organizzazione mindful

Tra le competenze individuali e manageriali, la mindfulness o presenza mentale consapevole è quella che, meglio di altre, apre la strada ad una miglior espressione del potenziale personale e professionale. Attraverso lo sviluppo di tale capacità, infatti, possono essere migliorate anche la creatività, la leadership, la comunicazione, la visione e altre ancora: capacità queste molto importanti per coloro che nelle aziende occupano posizioni direttive e svolgono ruoli strategici.

Si potrebbe inoltre estendere anche alle organizzazioni di lavoro una relativa mindfulness organizzativa, nella misura in cui esse sapranno sviluppare una presenza mentale consapevole e  migliorare quindi, anche attraverso adeguati strumenti e metodi di ascolto e di cambiamento organizzativi, la comprensione del proprio ‘sistema d’impresa’.

Lo sviluppo della presenza mentale e una condizione di maggiore consapevolezza personale si potranno così esprimere in un orientamento più consapevole ai clienti, in una maggiore capacità di integrazione e interfunzionalità, in una capacità di ascolto personale e organizzativo più autentica e attenta.

Attraverso di essa potranno nascere nuove idee e nuove soluzioni, grazie anche ad un miglior coinvolgimento e motivazione, dove il cosiddetto ‘people satisfaction’ non sarà solo una politica aziendale di marketing interno, bensì una reale necessità di coinvolgere tutto il personale e di valorizzare competenze e capacità non solo tecniche e professionali, ma umane e umanizzanti sia per l’individuo sia per l’organizzazione al cui destino egli partecipa.

In questo modo esse potranno sempre meglio anticipare e/o adeguarsi alle richieste del mercato e garantirsi un benessere organizzativo. L’esercizio della mindfulness individuale e organizzativa consentirà quindi lo sviluppo di capacità nuove, sempre più indispensabile in uno scenario in cui gli stimoli, le turbolenze, le richieste sono sempre più difficili da soddisfare, per poter vivere una vita piena e garantire a noi e ai nostri figli un futuro in un mondo dove valga la pena vivere.