La trasparenza, un fattore di sviluppo del capitale umano

Personale e Lavoro n° 505 giugno 2008

Negli ultimi vent’anni si è insistito molto sulla centralità delle risorse umane e oggi è sempre più aperto il dibattito sulla loro importanza strategica per la competitività dell’impresa.

Le aziende si trovano, infatti, nella necessità di gestire un cambiamento continuo, sempre più accelerato e complesso, rispetto al quale quella che viene definita la ‘qualità delle risorse umane’, il fattore soft per eccellenza, occupa un posto centrale nell’ambito dei fattori organizzativi. Unanime è la convinzione che la competitività si gioca soprattutto sul tavolo di tali fattori e quindi in relazione alle capacità personali relative all’ ‘essere’ e non solo al ‘fare’, che insieme alle competenze tecnico-professionali concorrono a incrementare il valore del capitale umano.

Con questo scopo, sono stati individuati nuovi modelli organizzativi e messi a punto piani di formazione manageriali.

I nuovi modelli organizzativi sono rivolti principalmente a cercare di individuare le condizioni strutturali che possono consentire alle organizzazioni di sviluppare al proprio interno quei processi di integrazione, di interfunzionalità, di comunicazione, di scambio, di problem solving, di decisionalità e di innovazione, indispensabili per garantire la competitività all’impresa.

I piani di formazione sono finalizzati allo sviluppo di capacità e comportamenti coerenti con la nuova struttura organizzativa, e sono relativi alla conoscenza di nuove metodologie (ad esempio, il miglioramento della qualità, delle capacità di problem solving, del processo decisionale, della creatività e altre ancora), e allo sviluppo di comportamenti organizzativi e di modalità di ‘essere’, (ad esempio la capacità di comunicare in maniera efficace, di lavorare in team, di coordinare e guidare i collaboratori). Purtroppo i risultati non sono sempre quelli attesi: i lavoratori, infatti, spesso non sono motivati a questo tipo di coinvolgimento, a mettere in gioco le loro qualità personali sul lavoro e a migliorarle.

D’altro canto le organizzazioni concentrano sovente il meglio delle proprie energie verso lo sviluppo dei fattori direttamente collegati con la produzione; le competenze stesse sono considerate principalmente in rapporto al loro contenuto tecnico/professionale e la gestione delle risorse umane spesso è lasciata  all’intuizione o al caso, e non vengono applicate metodologie, tecniche e strumenti adeguati.

Ciò è dovuto al fatto che in passato, quando la competitività si giocava sul fronte delle tecnologie e il mercato non richiedeva, come oggi, continui e rapidi  cambiamenti, risposte sempre più innovative alle richieste dei clienti e una sempre maggiore attenzione ai costi, questo tipo di logica era vincente.

Attualmente, quindi, il potenziale competitivo dipende sempre di più dalle persone, dalla loro capacità di coinvolgersi nel progetto dell’impresa con il meglio delle proprie motivazioni, con un contributo di idee, di miglioramento, di qualità, di attenzione ai clienti esterni e interni e con le loro capacità di andare oltre le loro competenze consolidate, migliorandole con un apprendimento continuo. Come si è detto, tali capacità e qualità si riferiscono principalmente al campo dell''essere' e non del 'fare'.

Molti studi sono stati effettuati al fine di comprendere quali forme specifiche di organizzazione, quali processi e quali modelli organizzativi influenzano la motivazione, la soddisfazione e l’efficacia della prestazione lavorativa. “Essi sostengono che le organizzazioni in grado di soddisfare i bisogni intrinseci dei
lavoratori avrebbero più possibilità di ottenere dalle proprie risorse, motivazione, soddisfazione, efficacia. L’efficacia organizzativa sembra, infatti, legata al grado di partecipazione e di coinvolgimento dei lavoratori, non solo relativamente ai propri compiti e alle proprie mansioni, ma anche per quel che riguarda le politiche decisionali e di progettazione futura, dunque in relazione a questioni organizzative di più ampio respiro.

Lawler (1986) ha constatato che dai diversi livelli di coinvolgimento dei lavoratori può derivare sia la loro soddisfazione sia l’efficacia dell’organizzazione; in accordo con il modello di Darasek e Theorell (1990), quest’ultima risulterebbe profondamente legata al grado di responsabilità assunta dalla persona per il lavoro svolto e di partecipazione nei processi decisionali organizzativi. Kanter sostiene che le aziende capaci di consentire ai loro dipendenti di apprendere, di acquisire nuove abilità, di formarsi, sarebbero in grado di innovarsi e di sviluppare nuove idee e, in una fase di mercato così turbolenta e in continua evoluzione, innovarsi vuol dire essere capaci di adattarsi all’ambiente e dunque di sopravvivere alle trasformazioni. Levering (1988) e Loyd (1990) hanno messo a confronto la cultura organizzativa caratterizzata da determinate qualità, politiche e valori, con la soddisfazione del lavoratore e l’efficacia dell’organizzazione. Altri autori, come Maccoby (1988), anziché concentrare l’attenzione sulle qualità culturali di un’organizzazione, hanno focalizzato il loro interesse sulle qualità personali di manager e leader ‘eccellenti’, andando ad indagare le loro abilità e le loro tattiche, risultate chiavi di successo” (da: Benessere organizzativo, a cura di Francesco Avallone, Rubettino Editore 2003).

Alla luce dei suddetti studi si evidenzia, per le organizzazioni, la necessità di orientare l’attenzione sulle condizioni che possono favorire il coinvolgimento e la motivazione dei lavoratori.

In quest’ottica il valore della soggettività e del ben-essere dei lavoratori è un punto centrale. Il ben-essere individuale rappresenta, quindi, un elemento del ben-essere organizzativo inteso come positiva interfaccia tra la persona e l’organizzazione di cui fa parte, e come cultura del lavoro fatta di valorizzazione e di stimolo in contrapposizione alle posizioni di controllo e di diffidenza. Il concetto di ben-essere organizzativo si riferisce al modo con cui una persona vive la relazione con l’organizzazione in cui lavora. Tanto più una persona si sente parte dell’organizzazione perché ne condivide i valori, le pratiche, i linguaggi, tanto più essa trova motivazione nel suo lavoro.

Al momento attuale, in cui le risorse umane diventano un valore aggiunto strategico, è importante un’operazione di mediazione tra gli interessi dell’impresa e quelli dei lavoratori, che porti gli uni e gli altri a possibili ulteriori condizionamenti del proprio agire in funzione di un maggior riconoscimento del benessere e della soddisfazione lavorativa. È su questa base che i lavoratori possono sentirsi coinvolti in un progetto d’impresa e possono contribuire, con la loro soggettività, a esprimere motivazione e qualità lavorative. Tale benessere può riconoscersi, per esempio, nella valorizzazione dell’immagine sul piano etico-sociale o politico, in un maggiore benessere relazionale, ambientale, creativo, nella continuità e stabilità del rapporto, o nel miglioramento economico per il collaboratore o in un maggior tornaconto economico per l’imprenditore. La necessità, quindi, di trovare una sinergia tra impresa e lavoratori, rende necessario individuare le condizioni organizzative che possano favorire una mediazione tra i loro reciproci interessi.

 

Un’ipotesi di lavoro

Questa proposta si colloca all’interno di tale logica e vuole portare un contributo al dibattito sulla centralità delle risorse umane, essere uno stimolo di riflessione ed aprire un confronto con coloro che sono parti in causa.

Essa si fonda sulle considerazioni che:

  1. la soddisfazione sul lavoro e la motivazione dei lavoratori siano in stretta relazione, e siano influenzate dalle modalità e dal grado di trasparenza con cui  l’azienda gestisce alcuni tra i principali fattori organizzativi, e da come essi vengono percepiti dal personale;
  2. l’azienda, debba diventare sempre più consapevole delle modalità e del grado di trasparenza con cui essa gestisce il capitale umano, per poter scegliere le migliori strategie. Nel campo della soddisfazione lavorativa e della motivazione, infatti, la trasparenza consente al personale di programmare le proprie azioni e di poter ottimizzare i propri sforzi in vista di obiettivi precisi. Non è possibile, però affermare in assoluto che la trasparenza rappresenti sempre un valore per le imprese, anche se un’ organizzazione efficiente tende senz’altro a favorirla, mentre una organizzazione efficace favorirà la trasparenza o l’opacità, a seconda delle situazioni operative e delle risorse umane disponibili.

In azienda, l’adottare una comunicazione trasparente o opaca può essere una scelta strategica (ad es. ‘non sono così chiara con la dipendente assunta a  contratto a tempo determinato sulla sua possibile riconferma, così la tengo in pugno fino all’ultimo giorno di lavoro!’, ‘non sono così chiara con il mansionario del mio subalterno, così non rischio che lui dica: non faccio questo perché non mi compete!’), oppure è involontaria per mancanza di conoscenza (ad es. ‘non ho mai dato importanza al mansionario, perché non pensavo servisse!’), oppure è a causa di problemi organizzativi (‘c’è poco tempo per le riunioni, ci scambiamo le informazioni alla macchinetta del caffè!’).

È utile, quindi, che l’azienda sia consapevole di trovarsi in una situazione o nell’altra per poter effettuare le scelte in termini di costi e benefici.

Alla luce delle suddette considerazioni, la presente ipotesi di lavoro vuole, quindi, contribuire a:

  • rendere l’azienda consapevole del livello di trasparenza con cui essa gestisce i principali fattori organizzativi relati vi alle risorse umane e guidarla verso una migliore valorizzazione del capitale umano;
  • rilevare la soddisfazione dei lavoratori rispetto alla propria realtà lavorativa e in modo particolare la loro percezione, rispetto ai suddetti fattori;
  • sostenere l’impresa nello sviluppo di un’adeguata strategia per la valorizzazione del capitale umano.

 

La scelta dei fattori

I fattori organizzativi su cui si fonda questa ipotesi di lavoro sono stati scelti perchè influenzano in maniera significativa, sia la gestione del capitale umano da parte dell’impresa, sia la soddisfazione e il benessere dei lavoratori. Ad esempio, rispetto alla ‘trasparenza e alla chiarezza dei ruoli e degli obiettivi’, che è uno dei fattori considerati, il vantaggio per l’azienda è quello di avere una maggiore possibilità di controllo e di verifica sull’organizzazione del lavoro.

Ai lavoratori, tale fattore consente:

  • una maggior chiarezza rispetto al proprio ruolo e agli obiettivi di lavoro e quindi una conoscenza delle attese dell’azienda;
  • una miglior conoscenza dei ruoli svolti dai colleghi, collaboratori e superiori;
  • di sapere a chi rivolgersi durante l’attività lavorativa per esigenze informative;
  • una omogeneità di informazioni tra tutto il personale.

I fattori presi in considerazione sono:

  • congruenza/incongruenza tra mansioni e competenze;
  • chiarezza dei ruoli e degli obiettivi;
  • possibilità di sviluppo e di crescita professionale;
  • qualità dell’ambiente di lavoro;
  • qualità delle relazioni interpersonali e chiarezza della comunicazione;
  • responsabilità/autonomia del tempo e delle modalità di lavoro;
  • flessibilità;
  • ruolo sociale dell’impresa;
  • possibilità di apprendimento;
  • retribuzione.

Per ogni fattore si sono inoltre individuati gli indicatori che ne evidenziano la presenza all’interno dell’organizzazione. Per esempio, rispetto alla ‘qualità delle relazioni e alla chiarezza della comunicazione’, essi sono:

  • le informazioni di lavoro sono accessibili all’interno dell’azienda;
  • le informazioni sono corrette e provengono dalla persona giusta;
  • sono previste occasioni di incontro (riunioni).

 

Il questionario

Lo scopo del questionario è quello di rilevare, per ogni fattore, la relativa percezione da parte dei lavoratori e, in particolare:

  • le specifiche condizioni di trasparenza;
  • il loro grado di soddisfazione/insoddisfazione;
  • l’importanza che il fattore stesso riveste per l’intervistato.

Tali domande sono state inoltre integrate con alcune altre, finalizzate a rilevare la presenza di condizioni di ben-essere personale e di gruppo.

L’azienda committente sceglierà di sottoporre il questionario alla popolazione dei lavoratori rispetto a cui essa ha deciso di rivolgere l’indagine, inoltre potrà  escludere dal questionario i fattori che rappresentano per essa una criticità e rispetto ai quali non vuole o può intervenire.

 

Conclusioni

Diventa indispensabile, quindi, che impresa e lavoratori trovino un nuovo punto di incontro, una mediazione tra gli interessi delle persone e quelli organizzativi, basata non più e non soltanto sugli elementi quantitativi legati ai fattori retributivi e alla stabilità del posto di lavoro, ma su altri elementi: quelli che alimentano il valore delle competenze, della professionalità, della chiarezza dei ruoli, che favoriscono nuovi apprendimenti e rendono possibile per i lavoratori crescere,  svilupparsi professionalmente e favorire progetti individuali che vadano oltre l’appartenenza all’organizzazione. Essi consentiranno inoltre, di poter vivere in ambienti lavorativi confortevoli, dove la qualità delle relazioni interpersonali e la chiarezza delle comunicazioni potranno consentire uno scambio reale e dove il
ruolo sociale dell’impresa potrebbe rappresentare un valore e una fonte di soddisfazione, un contesto lavorativo dove anche la flessibilità potrà favorire una migliore conciliazione tra gli interessi lavorativi e quelli personali e famigliari.

È rispetto a questi fattori che le imprese dovrebbero orientare la loro attenzione e il loro interesse, diventare più consapevoli e quindi più trasparenti verso se stesse, e conoscere il relativo punto di vista dei lavoratori, al fine di individuare le aree di criticità e scegliere, in rapporto alla propria realtà organizzativa, su quali sviluppare un processo di miglioramento, e poter così aumentare il valore del capitale umano e quindi sviluppare maggiori capacità competitive.